Liberaldemocrazia, qualche riflessione/Il contributo dato dal Pri al Paese Riformare l’Italia in nome dell’interesse generale di Antonio Suraci* Pur non essendosi chiusa la stagione dei convegni regionali sul progetto "Verso la costituente liberaldemocratica", aperta dalla relazione del segretario Francesco Nucara alla manifestazione di Roma del 7 luglio scorso, possiamo iniziare a trarre alcune riflessioni che, pur positive, necessitano di alcune puntualizzazioni. Il percorso intrapreso parte da lontano, dal Convegno di Milano del 2007 e trova la sua peculiare progettualità nell’ultimo Congresso nazionale di Roma del 2011. Una lunga gestazione che è servita a meglio comprendere la dinamica della crisi istituzionale, resa più acuta dalla crisi economica, a partire dal 2008. Lungo tutto questo periodo abbiamo preso atto delle vocazioni degli attori politici che, dal riformismo d’antan, hanno riscoperto i valori liberaldemocratici che già, in massima parte, permeano la nostra disattesa Carta costituzionale. Si è discusso a lungo su quest’ultimo aspetto e abbiamo avvertito la necessità di ampliare la riflessione su un nuovo modello di società civile ed economica che parta da quei principi liberaldemocratici disattesi e che richiedono una maggiore fermezza per la loro realizzazione. Ma prima di inoltrarci nelle specificità richieste per la realizzazione del progetto liberaldemocratico, è da sottolineare la necessità di affermare un metodo di conduzione della cosa pubblica dal quale deve discendere la diretta responsabilità di chi è chiamato a gestirla. In primis i partiti politici. Su questo fronte non siamo stati soli, anzi, possiamo dire di aver contribuito, con le nostre modeste forze, a completare nei contenuti l’azione rigorosa intrapresa dal presidente del Consiglio Mario Monti. Dopo oltre un ventennio il rigore nel controllo della spesa pubblica, la ripresa della vocazione europeista, la necessità di avviare una riflessione completa e complessa della società italiana del futuro sono, grazie al presidente Monti, entrati nell’agenda di tutti i soggetti sociali, economici e politici. Quell’agenda di cui noi repubblicani abbiamo riempito intere pagine; quei concetti più volte enunciati attraverso i nostri rappresentanti parlamentari. Ma il nostro progetto liberaldemocratico va oltre. Se appare necessario ‘raddrizzare’ nel metodo e nei contenuti il ruolo dello Stato rendendolo meno "aggressivo", occorre prendere coscienza che dobbiamo fare in modo che l’Italia, nel suo insieme, diventi un sistema organico attraverso riforme che partano dalla centralità della ricerca fino alla responsabilità sociale dei soggetti economici, dalla riformulazione della scuola e dell’Università ad un welfare sociale in grado di offrire risposte adeguate; un welfare che, partendo dalla solidarietà, si trasformi in un modello di efficienza basato sulla qualità e sul rigore. Il lavoro che ci attende è ancora lungo e non servono scorciatoie aggregative se prima non si puntualizzano i temi di quella riforma che non è particolare o parziale, bensì generale e propedeutica a qualsivoglia alleanza. Nel ribadire quanto occorra oggi fare per rafforzare i temi introdotti dall’attuale presidente del Consiglio (dal problema fiscale allo sviluppo, dalla crescita economica alla giustizia, dalle liberalizzazioni alla riforma del mercato del lavoro e dell’impresa) non possiamo non avvertire i nostri interlocutori e amici che la sfida che ci attende non è quella di imbellettare probabili alleanze di convenienza, ma di aprire un approfondito dialogo su quanto occorra per trasformare il nostro Paese. E quello che occorre prima di tutto è trovare una coesione di idee e di progetto intorno al quale tutte le forze democratiche possano riconoscersi, pur nel distinguo politico. Un modello che rappresenti un unicum quale frutto di rinascimento della società italiana, affidando alla politica e ai partiti il naturale ruolo di elaborazione e proposta, nello spirito dei valori costituzionali. Il ruolo dei repubblicani è ancora più importante e determinante al raggiungimento di tale scopo e non servono fughe in avanti o alleanze federative che, ancorché minoritarie, rischiano di vanificare il lavoro sin qui svolto. In questa fase non dobbiamo ammainare nessuna bandiera o confonderla con altre, tantomeno confluire verso altri, evidenziando in tal modo tutta la nostra debolezza ideale; piuttosto dobbiamo sforzarci affinché quanto andiamo sostenendo diventi un patrimonio comune di tutte le forze democratiche verso le quali abbiamo il dovere, nell’interesse del Paese, di promuovere un confronto per creare quell’unicum cui precedentemente si accennava. Non si realizza il modello liberaldemocratico senza il concorso intellettuale e morale di tutti: così ripercorreremmo strade già battute per la realizzazione di effimere alleanze. La fine delle ideologie e di conseguenza la crisi della politica e della cultura ci spinge a dar vita ad una nuova primavera politica senza replicare quelle scorciatoie che al momento sono rappresentate da altrettante effimere concentrazioni, per nulla spontanee, che non portano, allo stato dell’arte, alcuna originalità utile alla rifondazione della democrazia nel nostro Paese. Il dibattito sin qui sviluppato è stato certamente interessante, con diverse sfaccettature, il che dà il senso della ricchezza e della profondità dell’azione politica del Partito, ma ricordo che il 30 novembre è stato convocato il Consiglio Nazionale che fisserà il percorso e gli obiettivi in vista della prossima campagna elettorale. *Capo della Segreteria politica Pri |